“Per la stesura della tesi di laurea (relatore prof. Pietro Militello) mi concentrai sull’età preistorica – ci racconta
Paolo Scalora – e quindi fondamentalmente sull’età del Medio Bronzo (XV-XIII sec. a.C.), documentata dalle numerose tombe edite da Orsi a fine Ottocento (poco più di 50): in zona Massolivieri alle spalle di Punta Mola, dove c’è il nucleo più corposo con una quarantina di tombe a pozzetto (ipogeiche), avviai la mia indagine topografica (con le autorizzazioni della Soprintendenza e del
marchese Di Gresy) riportando nuovamente alla luce, per così dire,
15 sepolcri liberandoli dalla fitta vegetazione e facendo di ognuno uno schizzo planimetrico: fatta eccezione per una o due, tutte le altre tombe non erano mai state disegnate né ai tempi di Orsi né in tempi recenti”.
Non solo, ma Paolo Scalora si ritrova davanti a sepolcri di cui Orsi non fornì nessuna descrizione. “Dopo la tesi estesi la mia attenzione anche all’età greco-romana, ma fu quella preistorica a regalare altre grandi sorprese. Sollecitato dal dott.
Lorenzo Guzzardi ad effettuare un sopralluogo a Villa Messina (c.da Isola), – racconta il giovane archeologo – ci recammo sul posto, insieme al disegnatore
Giancarlo Filantropi, dove venivamo calorosamente accolti dai proprietari. In una parete calcarea, sulla cui sommità è la Villa, si aprono sepolcri di varia epoca, dall’età del Bronzo a quella paleocristiana, e tra tutti spicca una tholos, curiosamente sfuggita all’attenzione di Orsi e dei suoi collaboratori (come tutto il sito), evidente retaggio di quei felici rapporti col mondo egeo- miceneo durante il Medio Bronzo. Altri importantissimi risultati si sono ottenuti in altre zone del Plemmirio con l’attestazione di altre tombe a grotticella artificiale sia dell’Antico Bronzo che dell’età del Ferro: dunque, la presenza antropica nella penisola è stata molto più duratura e rilevante di quanto non si pensasse sulla scorta delle ricerche topografiche, ormai datate, di Orsi.
Con l’avvento dei Greci il nostro promontorio prese il nome di Plemmyrion (poi latinizzato dai Romani in Plemmyrium) che significa “ondoso”, in quanto particolarmente soggetto ai marosi e reso celebre dai noti versi di Virgilio nell’Eneide. I Greci lungo le coste aprirono numerose latomie, la cui pietra calcarenitica servì per la costruzione dei templi arcaici (secondo l’opinione comune). I conci estratti sapientemente venivano trasportati a Ortigia via mare, risparmiando tempo e fatica.
Le più grandi cave sono quelle che segnano suggestivamente la Punta della Mola. Ma ciò che ha reso celebre il Plemmirio è l’assedio ateniese (415-413 a.C.), durante il quale Nicia lo dotò di tre forti per controllare totalmente la bocca del Porto. A detta degli eruditi dei secoli passati e di qualche studioso di oggi, i resti di tali fortificazioni si conserverebbero su un’altura naturale, non lontano dalla costa settentrionale, consistenti in un basamento circolare (del diametro di m 24) delimitato, originariamente, da un doppio circolo di grandi conci: pertanto fu detto “castello di Nicia”. Orsi, che ne scoprì le rovine nel 1897, seppur con qualche dubbio concluse che doveva trattarsi, invece, di un grande tumulo dove furono sepolti i Siracusani caduti durante la guerra contro gli Ateniesi, poiché all’interno vi trovò una grande fossa con ossa umane combuste.
Gli appuntamenti al Circolo Unione con Italia Nostra proseguono giovedì 29 novembre alle 17,30, sarà la Prof.ssa Pina Cannizzo con la trattazione di un argomento altrettanto interessante “ Le torri costiere del territorio di Siracusa” che verranno illustrate con immagini e commentate con la solita perizia dalla relatrice, una delle “colonne” della sezione siracusana.