Antonio Gentile giunge al suo terzo lavoro e chiude la trilogia dedicata alla cultura popolare siracusana fatta di fede, devozione e forme di culture cosiddette “minori” secondo cui pensa che le “maggiori” siano Teatro Greco, Piazza Duomo o Santa Lucia. In realtà, Siracusa è una fonte inesauribile di beni culturali ed architettonici. Ed Antonio Gentile lo sa benissimo, tant’è che sceglie di dedicare questo lavoro intanto ai “nostri morti”.
Ne “I Cimiteri dal 1800 all’Autarchia” l’autore scandaglia, affronta le vicende politiche ed artistiche cittadine che caratterizzarono la costruzione dei due cimiteri, il primo fu quello Napoleonico -Borbonico realizzato fuori la cinta urbana, per effetto dell’editto di Saint Cloud, nel 1840 in contrada San Giuliano (dove attualmente sorge l’Istituto “Fermi”) e sino al 1880 fu cimitero monumentale ad appannaggio soprattutto delle confraternite e dei nobili, di chi in pratica poteva permettersi un sepolcro. Il sistema era quello tumulazione, ossia il feretro veniva riposto, per l’appunto, dentro un piccolo monumento.
Il secondo è l’attuale cimitero di contrada del Fusco da cui ha inizio il sistema della inumazione, il cadavere viene sepolto sottoterra. La realizzazione di questo cimitero fu contraddistinta da non poche beghe per l’espropriazione del terreno alla famiglia Gargallo che riuscì alla fine a battere la concorrenza, nonostante il prezzo altissimo che il Comune dovette sborsare. Dalle testimonianze rinvenute negli archivi, è dato sapere che altri notabili osteggiarono questa operazione facendo esplicita richiesta che il cimitero sorgesse all’altezza delle “due colonne” con la dovuta lontananza dalla città e dai miasmi del caso.
Alla fine, la politica optò per contrada Fusco. Sembrava fatta, ma lo “zampino del diavolo” permise al noto archeologo palermitano Francesco Saverio Cavallari di scoprire la Necropoli del Fusco che con le sue tombe greche e romane, si estendeva dal teatro greco sino al Villaggio Miano, precisamente alla portella del Fusco.
In conseguenza al ritrovamento di tali residuati archeologici, Cavallari pensò bene di fermare i lavori del cimitero del Fusco e per questo, si dice, fu persino allontanato da Siracusa. Fu poi il Ministro a riabilitarlo con la promessa di finire le sue indagini dei Tempi di Cerere e Proserpina. Ma lui conservò soltanto un’angolo della famosa strada funeraria che va dalle Paludi dei Pantanelli sino a sotto il Villaggio Miano. Per ragion di stato, si dirà cosi, i lavori del nuovo cimitero andarono avanti lo stesso e tutti i reperti furono “coperti”.
Il libro di Antonio Gentile, che per certi aspetti sembra fare il verso a cio che accade oggi (vedi dibattito sul nuovo ospedale o nuovo cimitero) perchè tratta i valori, le vicende comunali e della politica dell’epoca mitigando quell’aspetto fisiologicamente “triste”(parlando appunto di cimiteri) e rendendo il lavoro pregno di arte, politica, urbanistica, grazie anche al materiale inedito trovato negli Archivi di Stato e nelle biblioteche. Un lavoro di ricerca che ha impegnato Antonio Gentile per un anno. Ne uscirà fuori un inedito: questo libro, infatti, può ritenersi la prima vera mappa sui cimiteri siracusani (ricordiamoci che prima dell’editto di Napoleone la tumulazione era chiesastica con tutti i miasmi del caso, dunque i morti venivano accolti dentro le chiese, in città).
Gentile dunque indaga e si sofferma anche sull’attualità, essendo il cimitero oggi bene monumentale con ancora una serie di problemi legati alla logistica, manutenzione, gestione ed sovraffollamento. Ma con lo studioso Gentile è lecito andare oltre i confini ben circoscritti in questo terzo libro sulla fede e devozione siracusana: per esempio, i cimiteri sottacqua. “Secondo le mie ricerche, si ha solo un caso, – dice Gentile – quello di una tomba scoperta ad Ognina. In realtà, non si tratterebbe di un cimitero sotto il livello del mare, è la crosta terrestre che si è abbassata nei secoli”.
Cosi come il “cimitero marmoreo”. Ossia, il cimitero degli Ebrei, prima della persecuzione del 1492. “Ove un tempo sorgeva la “Porta Marmorea”, ascrivibile al 1300 circa, sono stati rinvenuti dei conci, all’altezza dell’ingresso del porto piccolo – racconta Antonio Gentile – conci che vennero utilizzati, molto probabilmente, per livellare il fondale. Insomma, si trattò di un riutilizzo del materiale: in pratica venne smantellato il cimitero degli ebrei che sarebbe sorto adiacente alle loro vigne, in via Cuma, tra lo Sbarcadero di Santa Lucia e la linea ferrata”. Ma questa è un’altra storia.
Tornando a “Cimiteri dal 1806 all’Autarchia”, questo libro, come già detto, compone la Trilogia di Antonio Gentile: “le maioliche devozionali nella storia di Siracusa” in cui l’autore racconta delle formelle con le immagini sacre, simboli dei vari ordini ecclesiastici in città. Il secondo libro è un censimento di tutte le edicole votive e le nicchie esistenti a Siracusa e che necessitano di restauro; infine, il terzo volume dedicato all’arte collegata alla fabbrica funeraria, il cimitero.
E il prossimo lavoro? “Ehm….non so ancora se Arenella o Fontane Bianche!” risponde secco e un po’ sornione Antonio Gentile. Sarà, uno dei due, il luogo ameno per una meritata sosta (un libro l’anno, in effetti, è un gran lavoro editoriale) o forse sarà il tema del prossimo impegno da appassionato ricercatore e scrittore? (r.t.)