
È pubblico il convegno in cui verranno presentati i risultati del nuovo studio scientifico sui Bronzi di Riace: l’appuntamento è fissato per il 12 dicembre alle ore 15, al teatro comunale di Ortigia a Siracusa, con ingresso libero.
A darne comunicazione sono i ricercatori coinvolti, che sottolineano come “il sapere appartenga a tutti, non solo agli scienziati”.
L’iniziativa nasce anche per far fronte alla crescente confusione generata da commenti e interpretazioni circolate sui social riguardo alla recente pubblicazione apparsa sull’Italian Journal of Geosciences (IJG).
Lo studio, firmato da 15 studiosi provenienti da sei università italiane – Catania, Ferrara, Bari, Cagliari, Calabria e Pavia – costituisce un lavoro multidisciplinare che ha coinvolto archeologi, geologi, biologi marini, paleontologi, esperti di leghe metalliche, petrografi, mineralogisti e specialisti di archeologia subacquea.
L’indagine si è articolata su tre assi fondamentali:
Origine delle terre di saldatura
I dati confermano la possibile provenienza siracusana delle terre, riconducibili alle cave pleistoceniche dei Pantanelli.
Le analisi indicano una compatibilità con materiali dell’area di Sibari, caratterizzata da specifici granitoidi e litotipi assenti ad Argo e nel Peloponneso, ma presenti nel delta del Crati.
Studio delle concrezioni e delle patine di corrosione
Questa sezione, la più innovativa, ha permesso di riconoscere la presenza di strati multipli sulla superficie delle statue:
– uno strato superficiale attribuibile ai fondali di Riace, con ghiaie e patine di cloruro di rame;
– strati più interni di coralligeno a serpulidi e briozoi, associati a patine di calcocite e cuprite, tipici invece di fondali profondi.
Le evidenze indicano che i Bronzi non rimasero a Riace più di quattro o cinque mesi prima del recupero del 1972.
Le patine più antiche raccontano invece una lunga permanenza – circa due millenni – in fondali compresi tra 70 e 90 metri, compatibili con quelli di Brucoli, sulla costa ionica siciliana: un ambiente anaerobio, stabile e altamente protettivo, assolutamente diverso dalle condizioni di Riace.
Le conclusioni sembrano avvalorare quanto già sostenuto dall’archeologo americano Holloway e da sette testimoni, secondo cui le statue sarebbero state rinvenute in fondali profondi siciliani e successivamente trasferite a Riace da archeotrafficanti.
Gli autori sottolineano la necessità di affrontare il dibattito “con umiltà e prudenza”, consapevoli che ogni risultato può essere superato da nuove scoperte.
Tuttavia, ritengono che il lavoro pubblicato sull’IJG rappresenti uno dei momenti più avanzati degli studi sui Bronzi di Riace, e invitano eventuali obiezioni a essere formulate attraverso studi scientifici di pari livello, non tramite commenti sui social.
Il 12 dicembre, al teatro comunale di Ortigia a Siracusa, tutti i 15 studiosi saranno presenti per illustrare nel dettaglio la ricerca e rispondere alle domande del pubblico. Il pdf dello studio è già stato diffuso nella chat dei partecipanti.
il nuovo studio pubblicato sull’ Italian Journal of Geosciences riapre il dibattito sull’origine dei Bronzi di Riace e rafforza l’idea che le statue non siano rimaste per secoli nel fondale calabrese dove furono trovate nel 1972.
La ricerca, condotta dai quindici studiosi di diverse discipline e appartenenti a sei università italiane, ha analizzato in modo sistematico le patine di alterazione e gli organismi marini presenti sulle superfici dei due bronzi.
Secondo i risultati, i segni compatibili con il fondale di Riace — profondo appena otto metri — risalirebbero solo a pochi mesi prima del ritrovamento.
Al contrario, la presenza di serpulidi circalitorali, croste coralligene e patine di solfuro di rame indica che le statue sarebbero rimaste per oltre duemila anni in acque molto più profonde, tra 70 e 90 metri, compatibili con i fondali della costa ionica siciliana, in particolare quelli di Brucoli.
Lo studio rilancia così la “pista siciliana”, proposta negli anni Ottanta dall’archeologo Robert Ross Holloway, secondo cui i bronzi sarebbero affondati al largo della Sicilia durante il saccheggio di Siracusa del 212 a.C. e solo in tempi recenti sarebbero stati spostati clandestinamente a Riace.
I ricercatori Anselmo Madeddu e Rosolino Cirrincione, geologi dell’Università di Catania, sottolineano che la vera novità del lavoro consiste nell’aver combinato per la prima volta dati geologici, biologici e archeologici in un’unica interpretazione coerente della storia delle statue.
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