
Come annunciato dopo il ritiro di San Martino delle Scale della settimana scorsa, i tre gruppi di opposizione all’Ars hanno sottoscritto la mozione di sfiducia contro presidente della Regione Renato Schifani.
Nel corso di una conferenza stampa, i capigruppo di Pd e M5s, Michele Catanzaro e Antonio De Luca, assieme al deputato di Controcorrente, Ismaele La Vardera, hanno illustrato il contenuto della mozione, che sulla carta può disporre di 23 dei 36 voti necessari per essere approvata dall’aula.
Sembra improbabile che dall’attuale maggioranza arrivino le 13 firme necessarie a raggiungere la fatidica soglia delle 36.
Ma quando si parla di equilibri politici, soprattutto in Sicilia, niente può essere escluso.
Tuttavia, di fronte alle difficoltà, non solo politiche della maggioranza e al logoramento costante, potrebbe arrivare dai vertici nazionali dei partiti del centrodestra, magari dalla stessa Meloni, l’ordine di sciogliere le righe per andare al voto in un momento in cui l’opposizione sembra ancora impreparata.
È curioso come la storia si ripresenti a distanza di quasi 18 anni, con al centro della vicenda lo stesso protagonista.
Totò Cuffaro era infatti presidente della Regione quando, il 18 gennaio 2008, fu condannato in primo grado a 5 anni ed all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per i reati di favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio.
Di fronte al suo rifiuto di dimettersi, nonostante la condanna, l’opposizione di centrosinistra presentò una mozione di sfiducia che fu respinta dall’aula sei giorni dopo, con 53 voti contro 32, quando i deputati erano 90.
Ma due giorni dopo, Cuffaro tornò a Sala d’Ercole per dimettersi nel corso di una seduta straordinaria dell’Assemblea.
Il Ministero dell’Interno gli aveva comunicato l’imminente rimozione dalla carica.
Oggi protagonista è ancora Cuffaro, stavolta non come presidente ma come protagonista principale dell’inchiesta giudiziaria che ha travolto i vertici del suo partito.
Anche stavolta il presidente Schifani, che non è coinvolto in nessuna inchiesta giudiziaria, ha fatto sapere di non avere nessuna intenzione di dimettersi.

Schifani ha espulso dalla giunta di governo i due assessori Dc, anche se fonti ben informate affermano che si tratterebbe in realtà di una sospensione, e che i due sarebbero pronti a rientrare in carica non appena le acque si saranno calmate, presumibilmente all’inizio del nuovo anno.
Intanto è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio per l’assessora al turismo Elvira Amata, di Fratelli d’Italia, lo stesso partito del presidente dell’Ars Gaetano Galvagno, anche lui coinvolto in una inchiesta giudiziaria di cui si attendono gli sviluppi nelle prossime settimane.
E c’è poi il caso dell’assessore all’Agricoltura e vicepresidente della Regione Diego Sammartino, uomo forte della Lega in Sicilia, da poco rientrato nella giunta dopo aver scontato il provvedimento di sospensione del Gip del Tribunale di Catania nell’ambito dell’inchiesta Pandora, per la quale è stato rinviato a giudizio con l’accusa di corruzione.
Il processo è attualmente bloccato per questioni procedurali che dovranno essere vagliate dalla Corte Costituzionale, che dovrà esprimersi sul conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato promosso da Senato.
Al centro della questione c’è la legittimità delle intercettazioni, e di conseguenza della loro utilizzabilità, considerato che furono effettuate nella segreteria politica che Sammartino condivide con la compagna, l’allora senatrice e oggi deputata Valeria Sudano.
Di fronte a questi scenari si fanno sempre più insistenti le voci di un possibile invito a Schifani perché si dimetta, che potrebbe arrivare dai vertici nazionali dei partiti del centrodestra.
Potrebbe quindi ripetersi quanto successo nel 2008, cioè che l’Ars respinga la mozione di sfiducia e arrivino le dimissioni del presidente per andare ad elezioni anticipate.
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