Dopo il tragico omicidio di Martina, 14 anni, uccisa da un ragazzo di 18, il presidente della Consulta provinciale degli studenti, l’augustano Alessandro Giangrande, lancia un appello: “Non restiamo indifferenti, servono educazione affettiva e strumenti per crescere nel rispetto”
Una tragedia che ha scosso profondamente l’opinione pubblica e, in particolare, i più giovani.
Martina aveva solo 14 anni.
Il suo assassino, appena 18.
Una violenza che non può lasciare indifferenti e che pone interrogativi urgenti sul ruolo della società, della scuola e della famiglia nell’educazione delle nuove generazioni.
A intervenire con parole chiare e forti è Alessandro Giangrande, che affida a un comunicato il dolore e l’indignazione di un’intera generazione: “Martina era una di noi.
E oggi il dolore ha anche il volto della nostra generazione”, scrive.
“Ma forse la responsabilità ricade anche su un mondo adulto che ha lasciato i giovani soli a gestire ciò che nessuno ha insegnato: le emozioni, l’amore, il rifiuto, il limite”.
Giangrande denuncia una società digitale e iperconnessa, ma “emotivamente disorientata”, che spinge i ragazzi a crescere troppo in fretta, senza però offrire loro gli strumenti per capire sé stessi e gli altri.
“A 14 anni si vive già sotto la pressione di diventare grandi.
A 18, si può arrivare a confondere la fine di una relazione con una sconfitta da vendicare.
È in questo vuoto che nasce la violenza”.
Da qui, l’appello a un rinnovato impegno educativo.
Se da un lato l’educazione civica è già presente nei programmi scolastici, secondo il presidente della Consulta è necessario fare un passo in più: “Serve introdurre l’educazione affettiva, emotiva e relazionale nelle scuole.
Perché se a scuola non si impara ad amare, c’è il rischio che fuori si impari a odiare”.
La scuola, spiega, può e deve diventare un presidio di umanità: “Deve accompagnare i ragazzi nella conoscenza, ma anche nella comprensione delle emozioni.
Se la scuola non si fa carico anche delle emozioni, chi lo farà?”.
Infine, l’invito a tutti i giovani: non voltarsi dall’altra parte.
“Accogliamo ciò che è accaduto come una chiamata alla responsabilità – conclude Giangrande – non solo morale, ma anche e soprattutto nei comportamenti quotidiani.
Le prossime generazioni devono essere migliori di quelle che le hanno precedute.
E questo dipende anche da noi”.
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