Un duro colpo alla criminalità organizzata e alla sua infiltrazione nell’economia legale è stato inflitto dalla Guardia di Finanza di Caltanissetta, che ha eseguito un maxi sequestro patrimoniale da circa 50 milioni di euro nel settore della pesca e della commercializzazione di prodotti ittici, colpendo un articolato sistema imprenditoriale con ramificazioni in Italia e in Marocco.
Il provvedimento, disposto dal Tribunale di Caltanissetta – Sezione Misure di Prevenzione, su proposta della Direzione Distrettuale Antimafia, riguarda Emanuele Catania, detto Antonino, imprenditore gelese considerato per decenni un riferimento nel commercio ittico, anche su scala internazionale. Catania è stato condannato in via definitiva per associazione mafiosa, per aver fatto parte della cosca mafiosa gelese riconducibile alla famiglia Rinzivillo, costola della storica organizzazione di Cosa nostra.
Il sequestro, eseguito dai militari del G.I.C.O. della Guardia di Finanza nissena con il supporto del Reparto Operativo Aeronavale di Palermo, ha colpito un patrimonio imponente: oltre 40 immobili, veicoli, conti correnti, quote societarie, unità navali tra cui pescherecci, e interi compendi aziendali, alcuni dei quali localizzati in Marocco attraverso la società “Gastronomia Napoletana”, di cui Catania era socio e amministratore.
Secondo gli inquirenti, i beni accumulati da Catania e dalla sua famiglia tra il 1985 e il 2022 sono risultati del tutto sproporzionati rispetto ai redditi dichiarati. L’analisi patrimoniale ha interessato 45 soggetti, tra persone fisiche e giuridiche, e ha evidenziato un sistema imprenditoriale opaco, al cui centro vi sarebbe stata una collaborazione sistematica tra Catania e il clan Rinzivillo.
Le indagini – sviluppate anche grazie all’operazione “Terra Nuova 2” e alle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia – hanno tracciato il profilo di Catania come uomo di fiducia del boss Antonio Rinzivillo. Sarebbe stato proprio quest’ultimo a finanziare con proventi del traffico di stupefacenti le attività economiche dei fratelli Catania, garantendo loro protezione e vantaggi competitivi attraverso la forza intimidatoria mafiosa.
Il settore ittico siciliano – secondo quanto ricostruito – sarebbe stato in larga parte monopolizzato da soggetti legati alla mafia, che imponevano le forniture e orientavano il mercato a proprio favore. Catania, da imprenditore formalmente pulito, avrebbe offerto un canale per il riciclaggio dei proventi illeciti, facilitando l’ingresso del clan anche nel mercato nordafricano.
Dopo un iniziale proscioglimento in primo grado, la Corte d’Appello di Caltanissetta ha ribaltato la decisione e condannato Emanuele Catania nel marzo 2022 a 6 anni e 8 mesi di reclusione, sentenza poi confermata dalla Cassazione nel luglio 2023. La magistratura ha ritenuto provata la sua piena adesione all’associazione mafiosa sin dagli anni ’90.
Molti dei beni sequestrati risultavano formalmente intestati al fratello Antonino Catania, soggetto non condannato per mafia ma considerato “terzo interessato”, poiché coinvolto nella gestione delle attività economiche della famiglia.
Il sequestro eseguito dalla Guardia di Finanza rappresenta un passo preliminare verso la confisca definitiva dei beni, con l’obiettivo di sottrarre risorse alla criminalità organizzata e tutelare il tessuto economico legale.
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