A dieci anni esatti dal tragico naufragio del 18 aprile 2015, nel quale persero la vita oltre mille migranti nel Canale di Sicilia, la città di Augusta ieri si è fermata per commemorare le vittime in una cerimonia intensa e carica di significato.
Il cuore della commemorazione si è svolto dinanzi al relitto del barcone protagonista di quella tragedia.
Nel pomeriggio la toccante testimonianza di un sopravvissuto.
Tra le oltre mille persone che persero la vita in mare dieci anni fa, solo 28 riuscirono a sopravvivere.
Uno di loro, Sekou Diabagate, oggi trentatreenne, ha condiviso il suo toccante racconto durante la commemorazione organizzata per ricordare quella terribile tragedia.
Nel suo drammatico resoconto, ha ricordato quei momenti strazianti in cui, mentre cercava di restare a galla, molte persone intorno a lui affogavano.
Alcune lo tenevano per mano, ma poi erano costrette a lasciarlo andare, sopraffatte dalla fatica e dalla disperazione.
Ma se la tragedia in mare ha segnato profondamente la sua vita, altrettanto difficile è stato ciò che è venuto dopo.
Una volta sbarcato a Catania, è stato trasferito al centro di accoglienza di Mineo, dove ha affrontato una lunga e complessa trafila burocratica per ottenere i documenti necessari.
Successivamente è stato trasferito a Lecce, dove ha trascorso sei mesi insieme ad altri superstiti, in attesa del rilascio del permesso di soggiorno.
Un percorso reso ancor più complicato dai cambiamenti normativi introdotti negli anni successivi, che hanno causato ulteriori difficoltà nei rinnovi e nella regolarizzazione della loro posizione.
Alcuni dei sopravvissuti si trovano ancora oggi a Lecce, impiegati nei campi nella raccolta degli ortaggi, in condizioni di precarietà.
Nonostante tutto, l’uomo ha espresso grande gratitudine per l’accoglienza ricevuta e per il lavoro svolto dal comitato che ha organizzato la commemorazione.
Si è detto profondamente commosso dal ricordo di quanto accaduto e ha promesso di restare in contatto con chi ha contribuito a mantenere viva la memoria di quella notte.
Oggi ha ricostruito la sua vita: è sposato, padre di una bambina di tre anni e lavora come autista di camion.
Recuperato dal fondo del mare nel 2016 per volontà del Governo italiano, oggi il relitto si trova custodito nella nuova darsena del porto commerciale, sotto una copertura ancora in fase di completamento.
L’intento è quello di inserirlo all’interno del Giardino della Memoria, uno spazio pensato per la riflessione e il ricordo, un luogo accessibile a tutti i cittadini per ricordare, riflettere, portare un fiore.
All2 12, il Comitato 18 aprile si è ritrovato ai piedi dell’imbarcazione per deporre fiori, gesto simbolico che, come ha spiegato padre Giuseppe Mazzotta, rappresenta “il nostro cuore donato”.
A prendere la parola durante la commemorazione è stata anche Giorgia Mirto, ricercatrice della Columbia University, che ha voluto ricordare la disumanità della tragedia:
“Quelle persone non sono morte per colpa del mare, ma perché non era concesso loro arrivare in modo sicuro.
Noi possiamo viaggiare liberamente, loro no.
Oggi siamo qui non solo per ricordare, ma per ribadire una responsabilità collettiva e la necessità di lottare affinché simili tragedie non si ripetano più”.
Mirto ha inoltre sottolineato come queste tragedie non siano affatto terminate: “Dalla strage di Cutro ai respingimenti e ai soccorsi mancati, continuano a verificarsi episodi che spesso nemmeno conosciamo”.
Enzo Parisi, vicepresidente del Comitato, ha rilanciato l’appello affinché il relitto venga preservato come simbolo di memoria e monito per le future generazioni.
“Come ha detto Papa Francesco, questo relitto deve continuare a parlare alle nostre coscienze.
Deve essere collocato in un’area accessibile a tutti, un vero Giardino della Memoria, dove chiunque possa fermarsi per una preghiera o una riflessione.
Oggi, però, la sua posizione tra pannelli fotovoltaici, ponteggi e auto parcheggiate sotto la chiglia non rispecchia lo spirito con cui questo luogo era stato pensato.
Il Consiglio comunale aveva votato una mozione chiara: vogliamo un luogo dove, oltre ai fiori, possano crescere anche le speranze”.
Con questa cerimonia, Augusta ha ribadito il suo impegno a non dimenticare, trasformando un simbolo di morte in un segno duraturo di coscienza e responsabilità collettiva.
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