Era il 19 maggio del 1985 quando, alle 23.25, una serie di esplosioni e un gigantesco incendio devastarono l’impianto petrolchimico Icam – oggi Versalis – situato nel cuore del triangolo industriale tra Augusta, Priolo e Melilli.
Quarant’anni dopo, le immagini di quei funghi di fuoco alti centinaia di metri restano impresse nella memoria collettiva, ma la domanda resta drammaticamente attuale: quanti altri decenni si dovranno vivere in una condizione di rischio permanente?
L’Icam, acronimo di Impresa Congiunta Anic Montedison, era entrata in funzione solo nel 1981, con una capacità produttiva imponente: oltre 1 milione di tonnellate l’anno tra etilene, propilene e butadiene.
Solo quattro anni dopo, l’impianto venne quasi completamente distrutto da uno dei più gravi incidenti industriali della storia italiana.
Nonostante il numero limitato di vittime rispetto ad altre tragedie, l’impatto fu enorme: interi quartieri fuggirono nel panico, temendo l’effetto domino e l’arrivo di una nube tossica.
A quattro decenni di distanza, Legambiente, attraverso i suoi circoli locali, denuncia una situazione che appare paradossalmente simile a quella del 1985: piani di emergenza poco conosciuti, vie di fuga insufficienti, e nuove attività a rischio di incidente rilevante che continuano a sorgere accanto a case, scuole e persino centri commerciali.
Nonostante l’impianto sia stato ricostruito in poco più di un anno dopo l’esplosione, per la costruzione di adeguate vie di fuga si è dovuto attendere molto più a lungo.
E anche il Piano di Emergenza Esterno, arrivato anni dopo, rimane per lo più ignorato dalla popolazione e scarsamente praticato nelle esercitazioni.
“L’auspicata delocalizzazione di depositi pericolosi, come quello Maxcom di Augusta o il parco serbatoi SG14, non è mai avvenuta”.
Al contrario, nella zona industriale hanno fatto la loro comparsa impianti come l’IGCC Isab/Goi e il deposito GM Gas, quest’ultimo situato accanto alla linea ferroviaria alle porte di Siracusa nord.
Una collocazione che Legambiente definisce “incompatibile con qualunque criterio di sicurezza pubblica”.
Gli incidenti non sono certo un ricordo del passato.
Solo nell’ultimo anno si sono verificati gravi eventi: il 26 agosto 2024, un’anomalia nell’impianto ISAB Sud ha provocato la fuoriuscita di circa 17 tonnellate di idrocarburi, “spruzzati” ben oltre i confini dello stabilimento, piovuti in forma oleosa su abitazioni e strade.
Il 12 novembre, un guasto al compressore gas della Icam/Versalis ha portato all’invio in torcia di ingenti quantità di gas, generando nubi nere e allarmanti sfiaccolamenti visibili per chilometri. Ancora più di recente, l’11 aprile 2025, un incendio all’impianto Butamer della Sonatrach ha causato gravi ustioni a due lavoratori.
A fronte di questa lunga sequenza di allarmi, resta incomprensibile, secondo Legambiente, la proliferazione incontrollata di insediamenti commerciali nelle immediate vicinanze di aree industriali ad alto rischio, spesso in assenza di reali considerazioni sulle necessità di evacuazione o sulla sicurezza dei cittadini.
Secondo fonti industriali, Versalis/Icam dovrebbe chiudere entro il 2025, con l’annuncio della riconversione degli impianti verso la produzione di biojet e il riciclo chimico della plastica.
Una transizione industriale che Legambiente auspica sia rapida e garantisca il mantenimento dei livelli occupazionali (circa 1.400 lavoratori tra diretto e indotto), ma che non può prescindere da un miglioramento netto e immediato delle condizioni di sicurezza.
“Resta l’amarezza”, scrivono i circoli Legambiente di Augusta, Melilli, Priolo e Siracusa, “per il fatto che durante i lunghi anni di attività dell’ICAM, costellati di piccoli e grandi incidenti, le istituzioni e le imprese non siano riuscite a garantire standard adeguati di protezione per lavoratori e cittadini”.
Un’amarezza che, 40 anni dopo quella notte del 1985, si mescola alla consapevolezza che la lezione non è stata davvero imparata.
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